Pierfrancesco Matarazzo

Dalle leadership delle best practices a quella delle future practices. Perché, mai come oggi, il pensiero prospettico è una competenza chiave per le aziende e i loro manager.

“Degli attimi fuggiti è fatto il sempre”.

In questo verso di Emily Dickinson sta una delle grandi verità sul tempo e su come noi umani spesso lo interpretiamo: un insieme infinito di attimi che ci sfuggono di mano così rapidamente da non poterli controllare, tantomeno anticipare. È facile sentirsi schiacciati e impotenti di fronte agli eventi che ci coinvolgono, travolgendoci a volte con la potenza di uno tzunami emotivo, organizzativo, economico e sociale (un caso per tutti la situazione in cui ci stiamo muovendo in queste settimane) e trasportandoci in uno scenario che negli ultimi decenni ha fatto della velocità di azione, innovazione e reazione alle innovazioni altrui un valore imprescindibile per professionisti e manager.

Parole come learning agility, pensiero disruptive, resilienza sono diventate mantra organizzativi che molti manager si ripetevano come training autogeni dai risultati spesso inadeguati alle aspettative, ma soprattutto al contesto sempre più complesso e complicato in cui si muovevano. Uno scenario in cui le nebbie erano più diffuse delle luci, dove le relazioni erano viste spesso come “un male necessario” per raggiungere obiettivi sempre più prossimi e sfidanti.

In questo humus organizzativo in cui i manager dovevano correre sempre più velocemente per risolvere problemi che si auto-generavano a flusso continuo, l’immaginazione è stata messa al servizio del presente, distogliendola dal suo ruolo principale: sostenere il pensiero prospettico.

Nella mia esperienza ventennale come manager di multinazionali, anch’io sono stato travolto da questa corsa all’oggi, provando a immaginare futuri troppo prossimi in cui mettere a terra nuove best practices, al punto da perdere lo slancio necessario a innovare sul serio, a disegnare scenari possibili in cui vedere le cose diversamente da come le mie inclinazioni naturali e esperienziali mi porterebbero a fare. Eppure, è proprio questa capacità, che gli anglosassoni chiamano reframing, a essere il primo tassello per costruire una solida competenza prospettica che ci faccia ricordare che il futuro non è uguale a oggi + tempo e quindi le best practices cui ci affidiamo spesso non sono riproponibili e/o riadattabili. Abbiamo bisogno di future practices: un distillato di consapevolezza, immaginazione, prospettiva e anticipazione, con cui rispondere alle esigenze che le nostre organizzazioni ci propongono: rimodulazione della produzione e dei cicli di lavoro, modifica repentina della piramide dei bisogni dei consumatori, impatti che questi elementi avranno sull’organizzazione e sui processi.

In uno studio di Quoidbach, Gilbert e Wilson, pubblicato sulla prestigiosa rivista Science nel 2013, è stata analizzata l’attitudine di circa 20.000 soggetti fra i 18 e i 68 anni a immaginare il proprio futuro. Mentre la maggior parte riteneva di essere una persona molto diversa rispetto a dieci anni prima, la quasi totalità del campione ha risposto che la loro personalità (intesa qui come mix di attitudini, valori e comportamenti in specifiche situazioni) non sarebbe cambiata nei successivi dieci anni.  Questa illusione cognitiva (“ormai so chi sono e quindi non ho più motivo di cambiare”) è la responsabile della nostra chiusura ai cambiamenti, portandoci a assecondare le nostre attuali preferenze a discapito delle opportunità future.

Per aiutare i manager e i loro team a costruire le loro future practice applichiamo il percorso di sviluppo “PAC”, costruito su 3 dimensioni:

  • Prospettiva
  • Anticipazione
  • Cambiamento

Grazie a un mix di tools innovativi e concreti, possiamo fotografare la frequenza di utilizzo delle capacità prospettiche dei manager all’inizio del percorso, per poi costruire per loro e/o i loro team un mix di anticipatory workout, seminari e palestre interattive       (a distanza e/o in presenza), in cui provare concretamente la messa a terra delle competenze relative alle 3 dimensioni.

La nebbia in cui oggi siamo costretti a muoverci, ha il vantaggio di concederci uno stop, offrendoci l’opportunità di usare la nostra consapevolezza per costruire attraverso il pensiero prospettico e anticipatorio, un’attitudine al cambiamento più ampia e matura. Questo ci porterà a dedicare parte delle nostre giornate lavorative al design di possibili futuri in cui potremmo essere costretti a muoverci nei prossimi mesi ed anni:

  • riducendo e canalizzando lo stress da performance
  • rispondendo in modo funzionale e con risultati eccellenti alle esigenze delle realtà organizzative in cui viviamo
  • guardando al cambiamento con un’energia positiva che ci permetterà di diventare degli hub motivazionali per le nostre persone