Giuseppe Salamone

Ci sono ambienti che ci accolgono e ambienti che ci respingono. Luoghi che ci fanno respirare meglio e altri che, senza accorgercene, ci fanno trattenere il fiato.

E non parlo solo di design, colori o luci. Parlo dell’energia che abita uno spazio. Parlo di come l’aria, la luce, i materiali, le forme, i suoni e persino i profumi possano cambiare la qualità delle nostre relazioni. È l’architettura invisibile, quella che non si vede ma si sente. È il cuore dell’ingegneria olistica: un approccio che non separa l’ambiente dalle persone, ma le mette in comunicazione profonda.

Perché sì, l’ambiente parla. Sempre. Ma siamo noi che, spesso, abbiamo disimparato ad ascoltarlo.


Nel mio lavoro di consulente e progettista, incontro spesso persone che non stanno bene in casa propria. Non dormono, si innervosiscono senza motivo, non riescono a concentrarsi o a dialogare serenamente coi familiari. Oppure aziende dove i dipendenti sembrano stanchi ancora prima di iniziare la giornata, e la creatività fatica a nascere.

Eppure, basta poco per far emergere quello che già c’è sotto la superficie: un disagio ambientale che diventa disagio relazionale.

Allora l’ingegneria cambia mestiere: da “calcolatrice di strutture” a facilitatrice di benessere. Si mette al servizio delle emozioni, del silenzio, dell’ascolto. E lo fa con strumenti precisi ma anche con tanta sensibilità: una finestra che incornicia un albero, una luce calda che accoglie il mattino, un muro che isola non solo i rumori ma anche le tensioni.


C’è una parola che amo molto: risonanza.

Viviamo in spazi che, se ben progettati, risuonano con noi. Ci restituiscono ciò che mettiamo dentro. Un luogo pensato con amore, proporzione e rispetto delle energie diventa specchio delle nostre intenzioni migliori. È un ambiente che ci sostiene, ci riequilibra, ci protegge.

Ma c’è di più: uno spazio sano, armonico e ispirante cambia la qualità delle relazioni.

Perché quando siamo a nostro agio, diventiamo più gentili. Quando respiriamo aria pulita, ci apriamo agli altri. Quando la luce ci nutre, nasce il dialogo. È così che, migliorando gli ambienti, migliorano le persone. E quando migliorano le persone, fioriscono anche i legami.


Un Habitat Felice non è solo bello. È uno spazio che ci cura mentre ci viviamo dentro. È un’architettura che ha capito il senso della vita e lo sussurra a chi ha orecchie per sentirlo.

Ecco perché oggi più che mai abbiamo bisogno di questa ingegneria gentile, olistica, umana. Che non costruisce muri, ma ponti. Che non si accontenta di “mettere a norma”, ma cerca l’armonia. Che si prende cura delle case, degli uffici, delle scuole, delle aziende… e lo fa per prendersi cura delle relazioni che lì dentro abitano, si intrecciano, crescono o si spezzano.

Allora forse possiamo fare un passo in più: smettere di pensare all’ambiente come a qualcosa di esterno, e iniziare a sentirlo come un’estensione del nostro corpo, del nostro cuore, della nostra mente.

Perché l’ambiente che ci circonda… è anche l’ambiente che ci plasma.

E se impariamo a costruirlo con consapevolezza, rispetto e bellezza, forse – giorno dopo giorno – costruiremo anche una società più sana, più felice, più connessa.

Come una casa che accoglie. Come un abbraccio che parla senza parole.


“La felicità ha bisogno di spazio. E quello spazio può essere pensato, progettato, costruito”.