Il brano la LENTEZZA DI Milan Kundera, con lettura interpretata di Emanuela Volpe, formattrice ETLINE, ha dato il via alla serata dedicata al tema LA DIVERSITÀ RELAZIONALE E NEGOZIALE, che si inserisce all’interno degli eventi organizzati per l’ XI GIORNATA DELLA LENTEZZA, fondata da Bruno Contigiani dell’Associazione Vivere con Lentezza.
Bruno ha raccontato come sia importante rallentare per assaporare la vita scorrendo i seguenti Comanda-lenti:
Il tema della serata “relazionarsi e negoziare nella diversità” si è poi sviluppato con Barbara Demi, che facendo una carrellata su molti aspetti della negoziazione nella diversità ha terminato l’intervento con i Comanda-lenti negoziali:
La serata si è conclusa con l’estrazione del percorso della ETLINE SCHOOL “EMPOWERMENT E NEGOZIAZIONE” del 15 e 16 giugno, vinto da Pasquale Sicuriello, Polizia di Stato.
I partecipanti, nei feedback finali, hanno messo in risalto concretamente come apprendimento della serata l’importanza di “far respirare l’agenda”, di stare su se stessi per essere efficaci con gli altri, di volersi bene per potersi relazionare con efficacia, di dedicarsi il tempo per pensare e riflettere, di sapere cosa si vuole per negoziare, di ascoltarsi, di ascoltare l’altro, ascoltare le proprie emozioni e quelle altrui per comprendersi nella diversità.
Ad Ottobre ci ritroveremo per parlare di leggerezza nella diversità, nel frattempo BUON ALLENA-LENTO a tutti!
Barbara Demi
LA LENTEZZA di Milan Kundera
Ci è venuta voglia di passare la serata e la notte in un castello. In Francia, molti sono stati trasformati in albergo. Sono al volante e osservo, nello specchietto retrovisore, una macchina dietro di me. La freccia di sinistra lampeggia e tutta la macchina emette onde di impazienza. Il guidatore aspetta il momento giusto per superarmi; spia questo momento come un rapace che fa la posta a un passero.
Mi marito mi dice: “Sulle strade francesi ogni cinquanta minuti muore un uomo. Guardali tutti questi pazzi che corrono accanto a noi. Sono gli stessi che sanno essere così straordinariamente prudenti quando sotto i loro occhi viene scippata una vecchietta. Com’è possibile che quando guidano non abbiano paura?”.
Che cosa rispondere? Questo, forse: che l’uomo curvo sulla sua motocicletta è tutto concentrato sull’attimo presente del suo volo; egli si aggrappa ad un frammento di tempo scisso dal passato come dal futuro.; si è sottratto alla continuità del tempo; è fuori del tempo; in altre parole, è in uno stato di estasi; in tale stato non sa niente della sua età, niente di sua moglie, niente dei suoi figli, niente dei suoi guai, e di conseguenza non ha paura, poiché l’origine della paura è nel futuro, e chi si è affrancato dal futuro non ha più nulla da temere.La velocità è la forma di estasi che la rivoluzione tecnologica ha regalato all’uomo. A differenza del motociclista, l’uomo che corre a piedi è sempre presente al proprio corpo, costretto com’è a pensare continuamente alle vesciche, all’affanno; quando corre avverte il proprio peso e la propria età, ed è più che mai consapevole di se stesso e del tempo della sua vita. Ma quando l’uomo delega il potere di produrre velocità a una macchina, allora tutto cambia: il suo corpo è fuori gioco, e la velocità a cui si abbandona è incorporea, immateriale – velocità pura in sé e per sé, velocità-estasi.
Strano connubio: la fredda impersonalità della tecnica e il fuoco dell’estasi. Mi torna in mente l’americana che un paio di anni fa, con piglio insieme severo ed entusiastico, da vera militante dell’erotismo, mi diede una lezione sulla liberazione sessuale; la parola chiave che ricorreva più frequentemente nel suo discorso era “orgasmo”; tenni il conto: la pronunciò quarantatre volte. Il culto dell’orgasmo: l’utilitarismo puritano applicato alla vita sessuale; l’efficienza contrapposta all’ozio; la riduzione del coito a un ostacolo che va superato il più velocemente possibile per giungere a un’esplosione estatica, unico vero fine dell’amore e dell’universo.
Perché è scomparso il piacere della lentezza? Dove mai sono finiti i perdigiorno di un tempo? Dove sono quegli eroi sfaccendati delle canzoni popolari, quei vagabondi che vanno a zonzo da un mulino all’altro e dormono sotto le stelle? Un proverbio ceco definisce il loro placido ozio con una metafora: essi contemplano le finestre del buon Dio. Chi contempla le finestre del buon Dio non si annoia; è felice. Nel nostro mondo, l’ozio è diventato inattività, che è tutt’altra cosa: chi è inattivo è frustrato, si annoia, è costantemente alla ricerca del movimento che gli manca.
Guardo nello specchietto retrovisore: sempre la stessa macchina che non riesce a superarmi a causa del traffico in senso inverso. Accanto al guidatore è seduta una donna; perché l’uomo non le racconta qualcosa di divertente? Perché non le appoggia la mano sul ginocchio? Macchè: l’uomo maledice l’automobilista davanti a lui perché va troppo piano, e neppure la donna pensa a toccarlo con la mano, mentalmente sta guidando anche lei, e anche lei mi maledice.
E a me viene in mente un altro viaggio da Parigi verso un castello di campagna, il viaggio, avvenuto più di duecento anni fa, di Madame de T. e del giovane cavaliere che l’accompagnava. E’ la prima volta che sono così vicini l’uno all’altra, e l’ineffabile atmosfera di sensualità che li circonda nasce appunto dalla lentezza del ritmo: grazie ai sobbalzi i loro corpi si toccano, dapprima inconsapevolmente, poi consapevolmente, e ha inizio la vicenda.